venerdì 23 marzo 2012

Difesa Personale e Combattimento


L'argomento del titolo si presta a molteplici provocazioni ed alle più disparate interpretazioni.
Chi scrive ha avuto una brevissima esperienza nell'ambito della Difesa Personale, però forse sufficiente per consentire una analisi dei differenti aspetti che caratterizzano un confronto sportivo ed uno non sportivo, tra ciò che potrebbe funzionare e ciò che più difficilmente potrebbe servire. Questa analisi è pertanto molto personale e si presta a qualsiasi critica.
Innanzitutto è bene distinguere tra Difesa Personale/Autoprotezione e confronto all'interno di regole sportive.
Nel combattimento esiste un "rito": il ring (tatami, gabbia, ecc), un gong che sancisce l'inizio e la fine delle ostilità ed una serie di regole da rispettare; i combattenti hanno poi quasi sempre lo stesso peso. Al gong di inizio combattimento i lottatori alzano la guardia e si preparano, proprio secondo uno schema rituale. Studiano come avvicinarsi ed allontanarsi dalle aree pericolose (corde, bordo materassina, parete della gabbia) e si interrompono alla fine della frazione. E' un rito vero e proprio, che si consuma in una dimensione spazio/temporale.
Nello scontro in strada non vi è nulla di rituale o prestabilito. Non si conosce che cosa potrà mai fare l'aggressore o l'aggredito e non si conoscono punti di forza e di debolezza. Non esiste dimensione spazio-temporale e nulla è sancito da regole, il cui rispetto sia garantito da un arbitro. Si deve fronteggiare una serie infinita di variabili.
In condizioni di questo tipo, spesso il fine ultimo della preda è la sopravvivenza. Premetto che questa analisi si focalizza su di un confronto uno contro uno, senza utilizzo di armi, ma prova a considerare un confronto tra due persone disarmate.
Ritengo però che se è vero che in un  caso esiste uno schema, mentre nell'altro tutto è imprevedibile ed incalcolabile, ciò che può determinare la differenza, più che il patrimonio tecnico acquisito, sia l'allenamento mentale e la componente psicologica. Ora, allenare la mente a situazioni di stress indotto, simulando situazioni imprevedibili è quanto di più complesso si possa chiedere ad un addestratore. Anche la situazione più estrema, contestualizzata in un allenamento, quindi virtualmente estranea a reali pericoli, fornisce quella pur minima sicurezza che la realtà non assicurerebbe mai. In un contesto addestrativo non potrebbe o non dovrebbe mai accadere che si verifichi un incidente e questo aspetto rappresenta la lacuna più evidente di un qualsiasi sistema di difesa o autoprotezione. A conti fatti, addestrarsi senza che l'imprevedibilità diventi effettivamente un pericolo per la nostra incolumità, conduce anche un ottimo metodo per difendersi nell'ambito del rito, della codificazione.
Chi si allena in una qualsiasi disciplina da combattimento, in cui sia possibile misurarsi a contatto pieno (sia essa di lotta, di colpi o altro), potrà invece, pur nel già detto sistema codificato, esprimere una situazione quanto più prossima alla realtà, essendo l'avversario disposto ad usare il massimo della forza e delle sue abilità per batterlo.
Ed avere creato l'abitudine a gestire situazioni di stress e pressione certamente agevola la gestione di una situazione che pur metta a repentaglio la nostra sicurezza.
Detto questo diventa peraltro ridicolo chiedere ad un esperto di Difesa Personale di misurarsi in una gabbia, dal momento che la ritualità e la codificazione del combattimento renderebbero facile preda lui, abituato a schemi mentali completamente differenti, se non alla fuga (intesa con finalità difensive e non di codardia). Risulta però altrettanto ridicolo sentirsi dire che "io posso mettere le dita negli occhi e colpire i genitali", dal momento che, queste azioni, sono istintive e praticabili da chiunque, anche senza addestramento.
A conti fatti credo che esistano dei serissimi professionisti nell'ambito della DP, così come metodi davvero estremi ma che, d'altro canto, nella maggior parte dei casi il sistema migliore per avvicinarsi ad una situazione realistica sia quello di combattere e non di addestrarsi tra compagni di allenamento, ai quali non si può sferrare una gomitata in faccia o un calcio ai genitali durante la pratica.
Si potrebbero sviluppare moltissimi altri argomenti, ma credo non sia questo il luogo più opportuno, dal momento che se ne potrebbe parlare per intere giornate. 

Nessun commento:

Posta un commento